Il ruolo del Mito nel secolo XXI e le implicazioni socioculturali della gommapiuma.



Davide Gianfelice è un disegnatore dannatamente in gamba. Adoro il suo stile, ho visto la sua tecnica affinarsi tavola dopo tavola e spesso faccio un salto sul suo blog per gustarmi i suoi lavori.
L'anno scorso, di ritorno da Luccacomics, invece di matite e chine trovai una foto di Dart Fener/Darth Vader (come volete) in sella ad uno scooter.
Pur amandola e portandole il dovuto rispetto, non sono un superfan della saga di Lucas ma in quella foto vedevo sintetizzato alla perfezione l'universo dei cosplayers e la sua naturale(?) evoluzione fino ad oggi. Dai timidi tentativi degli albori all'impero odierno, così vasto da rendere impossibile un'analisi completa.
Inutile dilungarmi in dettagli relativi al Cosplay. Chiunque fosse interessato può approfondire l'argomento con la piacevole lettura di Cosplay Culture, saggio di Luca Vanzella edito da Tunuè.

Oppure, citando Caparezza, "tanto c'è Wikipedia".

Posso solo dire che in 18 anni di fiere e mostre-mercato in giro per l'Italia ne ho viste davvero di tutti i colori.
Camicie rosse su giacche nere per pigri e improbabili indagatori dell'incubo, pigiami Diadora per uomini ragno della domenica, Lamù e Catwoman sovrappeso, gabbie di polistirolo spacciate per esoscheletri, geni incompresi con i piedi cementati nelle basi dei calciatori del Subbuteo, Cavalieri dello Zodiaco avvolti nel Domopak, Barbalberi da caucciù, Legolas bombardati dall'acne, piume di struzzo e paillettes che a detta degli esperti omaggiano i protagonisti di noti videogames ma che ai più rimandano a Platinette e Vladimir Luxuria al carnevale di Rio.
Poi ci sono i professionisti. Gente che prepara il proprio costume con mesi di anticipo sfruttando la manodopera di mamme e zie per confezionare abiti degni del Moda Lab dello IED, tipi che ordinano online - forse dai fornitori di Bruce Wayne - tessuti e cianfrusaglie varie, gruppi che provano e riprovano entrate teatrali con tanto di colonna sonora per trionfare sul palco.

Lo confesso: qualche anno fa, un manipolo di baldi giovani riuscì a trasmettermi una dose di entusiasmo tale da convincermi a partecipare. Soffocavo sotto strati di cuoio nero e brandivo una spadina niente male.
Quell'anno il viaggio lo vinse uno Spiderman in pigiama e la delusione fu grande.
Forse è per questo che la mia acclamata performance non ha avuto seguito.
(O forse è perchè oggi potrei permettermi solo lui...vabeh, lasciamo perdere...-_-')

La maggior parte degli organizzatori delle mostre-mercato italiane ha intuito il potenziale di questo fenomeno e ha risposto con eventi e competizioni sempre più grandi.
Per intenderci: io in Giappone ci sono andato in viaggio di nozze e mi ci sono trattenuto appena il tempo concesso dagli impegni di lavoro. Conosco gente che lo stesso viaggio se l'è pagato con una vittoria ai cosplay contest.

Torno a monte.
Il Darth Scooter è emblematico. E' il primo passo di un percorso semantico-filosofico-concettuale e blablabla che ci porta dritti al (meraviglioso) Elvis delle truppe imperiali ed è solo l'inizio.
Il cosplay si evolve ad una velocità incredibile ed i suoi protagonisti - o almeno i più maturi tra loro - hanno gia raggiunto un tale livello di "consapevolezza di sè" (...) da potersi permettere il lusso dell'autoironia, gli ibridi, le rivisitazioni. Uno stadio che, a mio avviso, risulta ancora inaccessibile per buona parte dei fumettari (e con questo termine intendo sia gli autori che i lettori). Alcuni cosplayers di mia conoscenza, ad esempio, sono arrivati ad accettare quello che fino a qualche anno fa suonava come pura blasfemia ai loro orecchi: sanno che accostare il cosplay al carnevale non è una pratica discriminatoria nè offensiva perchè ne hanno compreso le ragioni. Il bisogno di sciogliere temporaneamente gli obblighi sociali e tutto il resto.
Ovviamente parlo di gente tra i 20 e i 30 anni e mi sembra logico escludere il tredicenne vestito da Naruto accompagnato dalla mamma.
Beh, basta confrontare queste aperture con l'imbarazzo vissuto da molti professionisti del fumetto nel definire pubblicamente ciò che fanno. Graphic novel, romanzo grafico, arte sequenziale. Per carità, lode e gloria a quest'ultima bellissima definizione coniata dal Maestro Will Eisner ma parliamoci chiaro, quanti altri termini possiamo inventare per aggirare l'ostacolo? Quanti sono, ancora oggi, quelli che "sto lavorando al mio nuovo libro"? Perchè è così difficile chiamarli con il loro nome?

Paradossalmente, credo ci sia qualcosa da imparare da quei turbonerd che imbracciano spade laser avvolti nella gommapiuma.
(Che poi il mio nazionalismo fumettofilo mi porti a sognare una mostra per il fumetto e una per il cosplay, in date e luoghi diversi, è un altro discorso.)

Mah. Se ne potrebbero aprire di parentesi, polemiche o meno. Oggi però mi non mi sento velenoso al punto giusto. Rimando questo genere di discussioni a giorni peggiori.
Che ci volete fare, quando ascolto Jack Johnson "I'm easy like Sunday morning".

2 Say whaaaaat?|?:

Marina Bolmini ha detto...

A proposito di cos-nerd-play:
http://www.youtube.com/watch?v=orqfac1ePQ4
Io c'ho buttato sangue su Tenchu, a un certo punto mi sono fatta i capelli bianchi e qualcuno mi chiamava Rikimari...
Questo mi ha lasciato a bocca aperta!

Thomas Magnum ha detto...

D'oh! Galattici!
Io ho adorato Tenchu! Anzi, lo adoro ancora!